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dai GIORNALI di OGGI

le eccellenze italiane

Scienza, imprese, turismo

L’Italia che non ti aspetti

I campi nei quali il nostro paese offre il meglio: collezione primati e produce talenti, anche in tempi di crisi

2009-07-09

Ingegneria Impianti Industriali

Elettrici Antinvendio

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Studio Tecnico

Dalessandro Giacomo

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L'ARGOMENTO DI OGGI

 

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2009-07-09

le eccellenze italiane

Scienza, imprese, turismo

L’Italia che non ti aspetti

I campi nei quali il nostro paese offre il meglio: collezione primati e produce talenti, anche in tempi di crisi

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NOTIZIE CORRELATE

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Luoghi: paesaggi e qualità della vita di P. di Stefano

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Invenzioni: Idee per tutti i giorni: euro sacchetti e microchip di F. Fubini

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Città: Venezia, la capitale dell'economia e dell'arte di P. Conti

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Medicina: a Milano terapia genica per tutti i bimbi del mondo di M. Pappaggallo

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Astrofisica: il mistero svelato dei lampi di raggi gamma di G. Caprara

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Aziende: il paese degli imprenditori: 1 su 10 lavora in proprio di A. Baccaro

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No Profit: volontari, un grande esercito (senza diserzioni) di R. Querzé

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Violini e diretti d'ordchestra da esportazione di G. Manin

Made in Italy, si dice. Ma si può chiamare anche così: qualità, tradizione, storia, fantasia, arte, creatività. Vale molto nel mercato globale l’etichetta di un Paese che riesce a dare il meglio nei momenti difficili, ma forse non conta abbastanza in un Paese che appare (troppo spesso) scontento di sé. Eppure c’è un Italia che colleziona primati e produce talenti, un Italia che va, che resiste, un’Italia di tante eccellenze non promosse, non raccontate, che si aggiungono a quelle conosciute e abbondantemente segnalate.

Bisognerebbe narrare di più e meglio luoghi e territori dove le bellezze ambientali e l’arte si integrano con la capacità di produrre quelle cose che piacciono al mondo, i tessuti, la moda, il design, l’artigianato sapiente e l’inventiva tecnologica, per imparare a conoscere meglio i segreti del lungo miracolo italiano, quello che ha resistito alla sfida cinese e oggi combatte con la crisi mondiale. E ci vorrebbe un altro Fai, oltre a quello benemerito che ha ridato splendore al patrimonio artistico dimenticato dimostrando che ambiente e cultura sono anche una risorsa economica, per dare maggior valore al sistema Italia. Un sistema diffuso che ha il suo cuore nell’impresa capace di mettere insieme le antiche sapienze con le intuizioni vincenti della modernità, che affronta con disincanto le nuove sfide lasciandosi alle spalle le guerre tra lobby e il vizio antico della politicizzazione. È lungo e impossibile l’elenco dei punti di forza di un Paese dove i talenti individuali e le fortune dei protagonisti di successo non sempre fanno da traino ad una migliore immagine del Paese stesso.

Ma non è una loro colpa: siamo noi, quasi sempre, a non avere il senso di certi valori, di straordinari tesori da sfruttare. E questo rimane un gap, tra noi e gli altri competitori, capaci di tutelare e vendere meglio i loro prodotti. Ma è anche vero che molti autogol che danneggiano il made in Italy sono il frutto di colpevoli assenze o dimenticanze della classe politica: spreco di risorse, capolavori artistici abbandonati, bellezze naturali contaminate da un’edilizia selvaggia, mancanza di regole e di controlli, risorse limitate per la ricerca, mancate aperture di credito per i settori innovativi. Forse bisogna aggiungere anche mancanza di coraggio: il coraggio di puntare di più sulla tipicità italiana, quella che resta un’indiscussa primazia nel mondo: con il suo valore culturale e industriale e con un indotto economico di tutto rispetto, sia quando riguarda il patrimonio artistico-ambientale sia quando riunisce la sapienza della bottega artigiana alla genialità imprenditoriale.. Ci facciamo del male da soli quando non sappiamo riconoscere il meglio che ci distingue all’estero e che l’estero apprezza: e questo vale per la musica come per la sanità. Ci sono voluti lunghi anni per uscire dall’esterofilia nelle cure mediche, per riconoscere che in alcune aree del Paese la sanità è diventata uno dei servizi di punta, un’alta specializzazione che compete ai massimi livelli nel mondo. La nostra storia, la nostra identità nel mondo globalizzato, sono una carta vincente per continuare a puntare in alto, magari con una maggiore consapevolezza delle qualità che in Italia ci sono: non servono fughe in avanti; basta sviluppare e modernizzare molte delle cose che già sappiamo fare.

Giangiacomo Schiavi

08 luglio 2009

 

 

 

 

Luoghi

Paesaggi e qualità della vita, le nuove mete

Dice un proverbio salentino: "Sette su li meju muccuni: carne, pesce e maccaruni, acqua fresca e vinu puru, fimmina beddha e giovane puru". I sette bocconi più saporiti? Non è difficile tradurli. Certo è che con queste premesse non deve meravigliare il fatto che la masseria, ultima generazione dell’agriturismo pugliese, è diventata una delle mete gradite dagli stranieri. Se è vero che a Lido Pizzo, per diverse settimane la famiglia reale del Belgio requisisce un’intera azienda agricola dove passare buona parte dell’estate.

Vi si possono mangiare, ovviamente, magari sotto un agrumeto che fa da cortile interno, anche i "ciceri e tria", lasagnette leccesi fritte in zuppa di ceci. Restando al Sud ma spostandosi nella Sicilia orientale, il Val di Noto finalmente è diventato, oltre che patrimonio Unesco, luogo di pellegrinaggio per forestieri amanti non solo del barocco più lussureggiante, ma delle spiagge bianche (l’oasi faunistica di Vendicari si trova poco sopra Capo Passero) il cui colore somiglia a quello del latte di mandorla migliore del pianeta. Lo potete bere ad Avola ma anche nella rinata Ortigia.

Il Rapporto Bitlab su quei siti che all’estero sono considerati luoghi di eccellenza storico-artistica e paesaggistica (è incredibile come in Italia questa triplice aggettivazione sia pressoché inscindibile) guarda giustamente anche al Centro e al Nord. Per esempio ai rododendri di Stresa, sul Lago Maggiore, tradizionale tappa del Gran Tour per i viaggiatori eccellenti dell’Ottocento: le tracce di questa accoglienza (destinata all’otium aristocratico) che caratterizzò i tre laghi lombardi sono ancora lì da ammirare: lussuosi palazzi, alberghi, "ville di delizia" con giardini che sembrano salotti, tra camelie e azalee. E il Centro? Si potrebbe tagliar corto e, dovunque ci si trovi, citare una lettera di Goethe dal Belpaese: "Non ho niente da cercare al mondo che quello che ho già trovato".

Paolo Di Stefano

08 luglio 2009

 

 

 

 

Invenzioni

Idee per tutti i giorni: euro, sacchetti,microchip.

Nelle invenzioni l’Italia è una media potenza: un recente rapporto dell’Ocse mostra che sono italiani il 3,78% dei riconoscimenti dell’Ufficio europeo dei brevetti. Germania, Stati Uniti e Giappone insieme rappresentano due terzi del totale. Siamo insomma degni del G8 ma non dei primissimi, anche perché molte piccole imprese dei distretti rinunciano a difendere all’estero i diritto sulle loro grandi idee. Eppure i grandi numeri non dicono tutto. Non raccontano del brevetto delle vecchie 500 lire bimetalliche, detenuto dalla Zecca e oggi usato per le monete da uno e due euro. Non rivelano certe eccellenze che mozzano il fiato per l’ingegno creativo e il potere entrare nella vita di miliardi di uomini, senza prepotenza. È il caso di Federico Faggin, un diplomato di un istituto tecnico di Padova che iniziò a occuparsi di calcolatori all’Olivetti anni ’60, poi si laureò in fisica, passò a quella che oggi è la St Microelectronics e infine alla Intel a Palo Alto: a lui si deve il microchip, chiave dell’elettronica moderna; senza, il mondo oggi sarebbe un posto diverso.

Nel tempo libero Faggin suona il flauto traverso e dice, in semitono: "Inventare è una lotta fra chi crede in un’idea e chi ha qualcosa da perdervi". Catia Bastioli e la sua squadra condividono la stessa capacità di guardare dove nessun altro vede un senso. Chimica di formazione, Bastioli ha costituto un piccolo centro di ricerca a Terni che oggi è una media impresa, Novamont, in rapida crescita anche nella crisi. Novamont ha ormai un migliaio di brevetti fra Europa, Stati Uniti e Asia. E un’idea di base: le plastiche biodegradabili, prodotte con oli vegetali da colza, ricino o girasole. I suoi sacchetti e i suoi materiali da pneumatici sono la prova che la lotta al cambio climatico è un’opportunità. "Temo solo la capacità italiana di farci male da soli, quando si dice che la riduzione delle emissioni è solo un onere per l’economia", dice Bastioli. Condivide Isabella Seragnoli: i brevetti della sua G.D. di Bologna hanno cambiato il modo in cui il mondo fa e impacchetta le sigarette.

Federico Fubini

08 luglio 2009

 

 

 

 

Città

Venezia, la capitale

dell’economia dell’arte

"Siamo la grande capitale dell’economia dell’arte, il segreto è stato attirare investitori privati legati a quel settore. È la nuova vera vocazione di Venezia: aver scommesso con coraggio su un avanguardistico comparto ci ha permesso di restituire alla città patrimoni immobiliari e monumentali". Massimo Cacciari, sindaco di Venezia, è felice di aver cancellato l’immagine stucchevole di una Disneyland di merletti e gondole. La rotta è cambiata. Dal 3 luglio l’intera Venezia accede a Internet (gratuitamente i residenti, ad un prezzo "politico" i turisti) e naviga a banda larga su una infrastruttura tecnica di proprietà del Comune, la Venis. Significa, dice Cacciari, "assicurare autostrade informatiche a qualsiasi imprenditore privato che voglia insediare un’azienda legata all’innovazione, alla cultura, all’arte, all’habitat".

Oggi Venezia, con venti milioni di turisti l’anno, è l’indiscusso crocevia mondiale dell’arte contemporanea. La 53˚ Biennale d’Arte, la Fondazione Cini all’Isola di San Giorgio (Peter Greenaway, John Wesley), le sculture di Robert Rauschenberg da Peggy Guggenheim, la Fondazione Emilio Vedova ai Magazzini del Sale con il suggestivo allestimento di Renzo Piano. Poi François Pinault che ha restaurato Punta della Dogana mantenendo palazzo Grassi per esporre la sua immensa collezione. La raffica di appuntamenti contemporanei alla nuova catena dei Musei Civici Veneziani. Soprattutto la Biennale, già a quota 60.000 spettatori, il 9% in più rispetto all’anno già record 2007. Il presidente Paolo Baratta: "Abbiamo ottenuto un livello di indiscutibile eccellenza perché non abbiamo pensato di raggiungere la popolarità a tutti i costi. Si è puntato sulla qualità dell’istituzione, sull’affidabilità, su una visione sprovincializzata. Ed il successo, anche in termini di numeri oltre che di prestigio, è arrivato da sé..."

Paolo Conti

08 luglio 2009

 

 

 

 

 

Medicina

A Milano terapia genica

per tutti i bimbi del mondo

Immunologia applicata, terapia genica, medicina rigenerativa, terapia cellulare dei tumori, neuroscienze. Fiori all’occhiello dell’Italia biomedica. Buona la media, poche le eccellenze capaci di attirare malati e ricercatori dall’estero. Si contano sulle dita di una mano, tutte a Milano. Frutto, per lo più, di investimenti intelligenti da parte di associazioni e charity quali l’Airc (Associazione italiana ricerca cancro) e Telethon. La terapia genica messa a punto dall’Istituto San Raffaele di Milano (Hsr-Tiget) è l’unica al mondo a funzionare.

Il punto lo fa il New England Journal of Medicine: sconfitta l’Ada-Scid in modo sicuro ed efficace. Il San Raffaele di Milano è quindi il centro di riferimento mondiale per la cura di questa grave malattia genetica. Ad oggi si possono considerare guariti del tutto nove bambini, provenienti da vari Paesi del mondo: Arabia Saudita, Belgio, Colombia, Germania, Palestina, Svizzera, Venezuela. Per altri tre bambini (provenienti da Brasile, Canada e Qatar) trattati di recente si attendono risultati a lunga distanza. Il direttore scientifico del San Raffaele, Maria Grazia Roncarolo, aggiunge: "Il nostro protocollo è oggi preso a modello e utilizzato in tutto il mondo". Altre eccellenze? "L’immunologia applicata, la medicina rigenerativa, la terapia cellulare dei tumori".

E Gianvito Martino, neuroimmunologo, il più atteso al mondo per i test sulla Sla. Alberto Mantovani, direttore scientifico dell’Humanitas, è tra i big mondiali sull’immunologia: dal laboratorio al letto dal malato. Umberto Veronesi indica l’Ifom di Milano (finanziato in buona parte dall’Airc): nanotecnologie, geni e staminali tumorali, nutriceutica. "Vi arrivano ricercatori da tutto il mondo". A conti fatti, però, i nostri "cervelli" brillano più all’estero. In casa, si sa, nemo è profeta. Ancor meno se i soldi sono pochi.

Mario Pappagallo

08 luglio 2009

 

 

Luoghi

Il mistero svelato dai raggi gamma

Gli scienziati italiani brillano nella scienza del cielo. Non solo perché hanno un padre nobile come Galileo Galilei al quale l’Unesco ha dedicato quest’annno l’Anno dell’Astronomia per celebrare le sue scoperte con il cannocchiale. I semi lasciati dal grande pisano sono cresciuti ed oggi non esiste progetto o centro di osservazione internazionali dove non siano presenti i nostri ricercatori. E per far fronte alle nuove sfide le forze sono state riorganizzate sotto l’ala dell’Istituto nazionale di astrofisica guidato da Tommaso Maccacaro. In parallelo l’agenzia spaziale italiana Asi, presieduta da Enrico Saggese, fornisce gli strumenti per indagare il cosmo attraverso i satelliti alla cui realizzazione partecipa anche l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, soprattutto nella costruzione dei rilevatori.

Ma a stabilire l’eccellenza sono naturalmente i risultati. Vari sono i campi, dalle galassie ai pianeti del sistema solare, in cui i contributi sono stati significativi negli ultimi decenni. Per l’universo violento, ad esempio, gli scienziati italiani hanno espresso particolare genialità. Indagando gli astri che emettono raggi X e gamma hanno decifrato uno degli enigmi cosmici più impenetrabili legato ai lampi di raggi gamma, i fenomeni più potenti del cielo perché in pochi secondi lanciano tanta energia quanta ne irradia il Sole nell’intera sua vita. Con il satellite BeppoSax dell’Asi si è scoperta la loro origine extragalattica e che sono il frutto probabile della fusione tra imponenti corpi celesti. Altri studiosi hanno segnato con la loro impronta le ricerche sulle origini dell’universo o sui pianeti, vicini come Marte oppure lontani, extrasolari, su uno dei quali Giovanna Tinetti ha individuato persino la presenza dell’acqua.

Giovanni Caprara

08 luglio 2009

 

 

AZIENDE

Il paese degli imprenditori

1 su 10 lavora in proprio

Italia è il Paese del G8 con il maggior tasso di imprenditorialità: secondo un’elaborazione dell’ufficio studi della Confartigianato su dati internazionali, sono oltre 6 milioni gli imprenditori e i lavoratori autonomi attivi, con un’incidenza sulla popolazione totale pari al 10,2%. Il secondo Paese in classifica è il Regno Unito: 6,9%, seguito dal Giappone (6,3%). Gli Stati Uniti sono penultimi con un 3,5%, seguiti dalla Russia (2,5%). Ma i primati dell’Italia in fatto d’imprese non finiscono qui.

Il nostro Paese è al primo posto nel mondo anche per il contributo delle piccole aziende all’economia. Tra i G7, invece, ha la quota più alta di occupazione nel settore manifatturiero creata da aziende con meno di 20 addetti: 30,9% rispetto al 18,9% del Giappone, al 18,1% del Regno Unito, al 18% della Francia, al 13% della Germania e all’11,1% degli Stati Uniti. La leadership italiana si conferma anche a livello europeo: l’Italia è, tra le principali economie Ue, quella in cui è più alta la quota di micro e piccole unità produttive con meno di 20 addetti sul totale delle imprese: il 97,6%.

La quota di valore aggiunto generato da questo genere di aziende è del 39,8%, a fronte del 29,2% della media Ue. E la vitalità del sistema produttivo italiano ha ricominciato a manifestarsi tra aprile e giugno scorsi: secondo dati Unioncamere, dopo un primo trimestre particolarmente negativo, ci sono 28 mila imprese in più. Si tratta sempre del dato più basso tra quelli registrati nel secondo trimestre degli ultimi sette anni, ma è comunque un segno "più" dopo tanti "meno". "Per me— commenta il presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello — il vero prodotto tipico italiano è proprio l’impresa. Non è un caso se ogni anno più di 120 mila giovani under 35, di cui 70 mila donne, si mettono in proprio nonostante, come diceva Luigi Einaudi, 'tutto quello che noi possiamo inventare per molestarli, incepparli, scoraggiarli'".

Antonella Baccaro

08 luglio 2009

 

 

 

NO PROFIT

Volontari, un grande esercito

(senza diserzione)

C’ è un mondo che non conosce la crisi. È quello del volontariato. Secondo i dati Istat più aggiornati, sono 9.900.000 gli italiani che, sotto varie forme, offrono tempo ed energie al non profit. Trentamila le associazioni di cui 21 mila registrate presso gli albi regionali. A cui bisogna aggiungere le cooperative sociali. "Nonostante la crisi non abbiamo notato una diminuzione delle donazioni che arrivano al terzo settore", fa notare Edoardo Patriarca, consigliere d’amministrazione dell’Agenzia per le onlus presieduta da Stefano Zamagni e responsabile del gruppo Economia sociale del Cnel. "Anche il numero dei volontari si mantiene stabile", dice Marco Granelli, presidente del coordinamento nazionale dei centri servizio per il volontariato.

Sempre più gli enti locali si affidano al non profit per fare fronte ai bisogni dei cittadini. Secondo una stima del Ciessivi, solo in provincia di Milano se le amministrazioni dovessero retribuire il lavoro dei volontari dovrebbero sborsare ogni anno 99 milioni di euro. Nelle regioni del Centro e del Nord le ambulanze del 118 funzionano all’80 per cento grazie a volontari. "Il non profit è diventato la spina dorsale invisibile del nostro Paese — continua Patriarca —. Anche nei passaggi più difficili della crisi sta garantendo la coesione sociale". "Le più recenti rilevazioni parlano di un numero medio tra i dieci e i venti volontari per associazione. Negli ultimi anni si assiste a una ulteriore parcellizzazione", aggiunge Granelli. Ma quali istanze vengono dal volontariato? Il terzo settore chiede la semplificazione della burocrazia e dei controlli per poter concentrare le energie sulle attività principali. Per finire, le associazioni non profit offrono anche posti di lavoro retribuito. Dove la crisi non morde.

Rita Querzé

08 luglio 2009

 

 

 

 

MUSICA

Violini e direttori d'orchestra

da esportazione

Ci fosse un G8 della musica, sarebbe tutto italiano. Ma otto posti non basterebbero per quella che è una delle nostre eccellenze, il nostro biglietto da visita formato pentagramma. Siamo, da sempre, il Paese del sole, della canzone, del melodramma. Il Paese del belcanto, di voci leggendarie, da Caruso a Pavarotti, da Callas a Tebaldi. Dei maestri del podio: Toscanini e De Sabata, Abbado e Muti. E ancora: il "marchio" Scala è esportato ovunque, come il Barolo.

La fama di certe istituzioni, la Biennale Musica, la Scuola di Fiesole, l’Accademia di Imola, la Stauffer di Cremona, attira musicisti e studiosi di terre lontane. E sempre Cremona, con le sue botteghe di liuteria, è fucina di strumenti noti in tutto il mondo. Gli italiani della musica sono anche da esportazione: oltre a Muti e Abbado, molti infatti i direttori alla guida di alcune principali formazioni europee: Riccardo Chailly al Gewandhaus di Lipsia, Daniele Gatti all’Orchestre National de France e all’Opera di Zurigo, Fabio Luisi alla Staatskapelle di Dresda.

L’elenco dei numeri uno può proseguire con le ugole d’oro (Cecilia Bartoli, Barbara Frittoli, Leo Nucci, Ruggero Raimondi, Ferruccio Furlanetto), mentre nella fascia borderline tra classica e pop, è gettonatissimo Andrea Bocelli. Quanto ai compositori, tra i nomi più celebri quelli di Fabio Vacchi, Giorgio Battistelli, Azio Corghi, Luca Francesconi. Per una platea più allargata, Giovanni Allevi, Ludovico Einaudi, Ennio Morricone... Capitolo solisti: basti ricordare Maurizio Pollini, Uto Ughi, Salvatore Accardo. "Sì, dal punto di vista musicale non siamo secondi a nessuno — dice il violinista Accardo —. Purtroppo gli unici a non tener conto di questo patrimonio sono proprio gli italiani. Che lo conoscono davvero poco. Siamo il Paese della musica, ma da noi le sole strade per avvicinarla sono la tradizione familiare o una casuale folgorazione. Di certo mai un’educazione musicale".

Giuseppina Manin

08 luglio 2009

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